Tre parmigiani rincorsi con “Forche, bidenti e falci” sul Monte Barigazzo!!!!!

Su questa strada abbandonata, tra questi massi paurosi precipitati dall’alto, il 18 luglio 1892 il dottissimo Direttore del Museo Archeologico di Bologna prof.  Edoardo Brizio, il prof. Vittorio Rugarli di Fornovo ed io, dopo un infruttuoso tentativo di scavo tra gli avanzi della Città di Umbria, colti da un improvviso, impetuosissimo uragano, e inconsci di u altro ben maggiore pericolo che ci sovrastava, potemmo raggiungere il Castellaro del Barigazzo e la Pieve di Gusaliggio in Val di Mozzola.

La strana avventura fu descritta dal prof. Rugarli in un brioso articolo: La Città d’Ubria e la Mandragola, inserito nella Rivista delle tradizioni popolari italiane diretta da Angelo De Gubernatis (vol. I, Roma, 1893-1894, pagg. 342.345).

“La grandine”, scrive il Rugarli, durata tre ore, aveva guasti i campi e i vigneti della  Tosca.  Lassù – lo sapemmo poi – non ricordavasi uguale disastro. E poiché la superstizione vuole dare ragione di ciò che accade, così prima causa della rovina dovevamo essere stati noi tre, che, saliti ad Umbria, smaniosi di scavarne ed esportarne i tesori, avevamo cercato e trovato la Mandragola. La quale erba, dicono quei montanari, nelle sue radici che si incastrano tra le roccie e sotto i massi, ha la forma di un bambino in fasce…. Credono alla Tosca che la Mandragola abbia un’anima, e che essa possa uccidere chi la disturba o cerca di toglierla dal luogo che si è scelto.

“Molta cautela abbisogna a chi voglia sradicarla: per evitare ogni accidente si leghi alle    radici un cane per la coda, e, sferzandolo, lo si costringa a trarle di tra i sassi e le macerie. Se la Mandragola voglia esercitare i suoi malefici, il cane muore. In ogni modo, quando la Mandragola è sradicata, sempre si turba l’aria che porta temporali con grandine ed acque diluviali, o terremoti, o venti impetuosi. Dànno a queste radici strani ed occulti poteri, e dicono che se ne valgono i maghi o gli stregoni per i tesori nascosti.

“Ed ecco noi tre divenuti nella fervida fantasia dei montanari della Tosca altrettanti maghi.

“Noi avevamo sradicato la Mandragola; noi sul cono di Umbria avevamo di certo compiuto uno strano sacrifizio – prova ne era il fumo copioso che si innalzava da più ore sulla cima del monte -; noi con le nostre malìe avevamo causato il turbamento dell’aria che con la grandine e con le raffiche impetuose aveva distrutto ogni raccolto….

La collera non ebbe più freno; dovevansi punire i tre parmigiani, causa della rovina; dovevansi con un castigo togliere per sempre, a tutti, la matta voglia di sradicare la Mandragola e di scavare i tesori di Umbria.  E così cinquanta montanari – e lo sa Dio so sono nerboruti – armati e di forche e di bidenti e di falci… corsero all’assalto di Umbria per punire i maghi…

“Noi, per fortuita, pur essendo incoscienti del grave pericolo, già eravamo in salvo sulla vecchia via preromana e romana che doveva condurci al Castellaro; ma nel settembre dell’anno successivo il Rugarli, trovandosi a caso sulla piazza dei mercato a Varsi, sentiva ancora parlare del gravissimo pericolo corso da tre parmigiani, l’anno prima; i quali, se raggiunti dai montanari, sarebbero stati guastati di certo”.

Chieggo scusa di essermi intrattenuto troppo a lungo sopra una mia vecchia e poco interessante avventura di viaggio e di scavi; ma siccome spero che qualche giovane studioso voglia tentare nuove ricerche nel castellari e castelli del nostro Appennino, ove è sempre fama siano nascosti tesori, così credo che la nostra spiacevole avventura debba ammonir tutti a valersi sempre dell’opera dei lavoratori del luogo.

Noi eravamo venuti ad Umbria, nel territorio della Tosca, partendo da Velleia e da Bardi; ed        avevamo commesso l’errore di condurre con noi mulattieri e scavatori forestieri; se avessimo chiamati, invece, i lavoratori della Tosca, essi avrebbero veduto che non volevamo scavare ad esportare tesori, che non strappavamo Mandragola, ma che cercavamo soltanto di strappare qualche segreto a queste nostre belle montagne che di segreti, pur troppo, ancora ne nascondevano tanti!”

Da La Giovane Montagna del Senatore Micheli anno 1930

La foto in copertina è stata trovata su WIKIPEDIA ed è relativa alle immagini degli scavi effettuati a fine 1861 a Città D’Ombria (città D’umbria) lungo il versante Nord ovest del Barigazzo

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