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MONTE ARDONE. L’ex sindaco Grenti : “sulla raccolta differenziata siamo una regione virtuosa ma non basta”. Bisogna uscire dalla logica del “non nel mio giardino” ma chiedere adeguati ristori per costruire il futuro del paese.

Mi sento in dovere, per i 15 anni di impegno politico a favore di Fornovo, di esprimere qualche considerazione sul tema Discarica di Monte Ardone.

Fin dalla mia prima esperienza politica, le  campagne elettorali, compreso successivamente la mia,  sono state improntate cavalcando, in un modo o nell’altro, la vicenda Discarica di Monte Ardone che, alla luce dell’esperienza maturata, trovo più un argomento da “minoranze” che da forze di governo e che anche attualmente, viene utilizzata per cercare visibilità e consensi in un momento di profonda debolezza dell’attuale giunta.

Trovo analogia nella lotta contro l’inceneritore di Pizzarottiana memoria che lo ha portato alla vittoria.

Nei 10 anni di governo del comune di Fornovo ho avuto la  fortuna/Piacere di ricoprire, per circa 3 anni,  il ruolo di coordinatore provinciale di Atersir (Agenzia territoriale servizio idrico e rifiuti) che mi ha consentito di acquisire un esperienza specifica del settore.

Una volta che ci si trova ad assumere responsabilità nell’interesse di una comunità occorre approfondire le tematiche e credo che ci si debba porre due ordini di riflessioni.

La prima di natura ambientale che nasce da una domanda: possiamo gestire il ciclo dei rifiuti senza inceneritori o discariche, soprattutto in una Regione che è motore trainante dell’economia italiana?

Per quanto riguarda il recupero dei rifiuti, l’Italia, l’Emilia Romagna in particolare,  è un paese piuttosto virtuoso: eppure non basta a tenere in piedi tutto il sistema di smaltimento. C’è l’altro lato della medaglia   che riguarda la raccolta differenziata, e cioè che, paradossalmente,  se ne fa troppa rispetto alla domanda del mercato. I materiali derivati dal riciclo hanno sempre meno spazio sul mercato, e quello che non si riesce a vendere si prova a mandarlo in discariche o inceneritori.

In sintesi si producono troppi rifiuti frutto di uno stile di vita che, in particolare privilegia l’utilizzo di imballaggi impiegati nelle catene della grande distribuzione e, nonostante gli sforzi di ognuno per differenziare correttamente i rifiuti prodotti, il mercato del riciclo non è in grado di assorbirli e di conseguenza vengono dirottati versi i termovalorizzatori o le discariche.

A complicare questa situazione c’è lo stato attuale degli impianti italiani, sia di riciclo che di smaltimento. Per quanto riguarda i primi, all’aumento progressivo dei materiali da riciclare non è seguito nel corso degli anni un aumento del numero degli impianti, costringendo l’Italia a esportare sempre più rifiuti all’estero. La soluzione sarebbe la costruzione di più impianti, ma, come succede da noi, le amministrazioni locali e le proteste dei cittadini ne rallentano o impediscono l’apertura, chiedendo, come per Monte Ardone, la chiusura degli impianti.

Il percorso per ridurre al minimo gli impianti di smaltimento è ancora lungo ed è frutto di politiche che devono riguardare scelte impegnative rivolte alla riduzione dell’utilizzo di imballaggi e contestualmente potrebbero essere previste tasse per i rifiuti conferiti in discarica da riconoscere come ristori per i territori che le ospitano e che funzionino come disincentivo per l’utilizzo di questi impianti e da incentivo per la realizzazione di nuovi impianti per il recupero. Un insieme di azioni di natura ambientale personale, collettiva e normativa  di cui ho riportato sinteticamente solo alcune riflessioni ma che dovrebbero essere approfondite per affrontare seriamente una tematica così importante per aiutare a superare il blocco del “Not in my backyard” (non nel mio giardino).

Esiste poi un’altra riflessione, in un particolare momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, relativa alla sostenibilità finanziaria del bilancio del nostro comune che, negli anni, ha assistito all’introduzione di sempre più servizi rivolti alla comunità. Questa sostenibilità è fortemente a rischio.

Solamente l’Asilo Nido e la Piscina, da soli, assorbono circa 400.000 € che, oggi, nel bilancio di previsione 2021, sono sostenuti interamente dai proventi della discarica.

Abbiamo il coraggio di rinunciare a questi o altri servizi?

La crisi e gli impegni derivati dal Patto di Stabilità impongono l’accantonamento in un fondo dei crediti inesigibili (tasse, IMU e TARI, non versati dai cittadini) che la crisi, ha fatto aumentare in modo esponenziale  e che, pur che se ne dica, sono di difficile recupero, ma soprattutto non sarebbero sufficienti a garantire il mantenimento dei servizi essenziali fino a quando non verranno fatte scelte alternative di rinuncia  delle spese dei servizi (servizi sociali, asilo nido, piscina, impianti sportivi, ecc.ecc). Le entrate della discarica, in condizioni normali, essendo entrate straordinarie legate alla durata dell’impianto, dovrebbero essere utilizzate per gli investimenti (piazze strade, impianti sportivi, scuole ecc.ecc) e non per la gestione dei servizi.  Purtroppo la costante e progressiva riduzione dei trasferimenti Statali  ha imposto l’utilizzo delle royalties per garantire il mantenimento dei servizi.

Questa situazione non sarà sicuramente di rapida soluzione e, nel frattempo, le risorse della discarica fornirebbero una boccata di ossigeno non indifferente.

Ci sono poi altre considerazioni o forse preferisco chiamarle suggerimenti. La Regione, attraverso le parole dell’assessore Priolo, ha manifestato la necessità di avere a disposizione impianti di smaltimento di   Rifiuti.  Ricordo che la competenza ambientale è regionale e che la pianificazione parte da Bologna.

Se è vero che esiste questa necessità, è anche vero che Fornovo e il suo territorio hanno  dei problemi storici che non sono mai stati risolti, vedi la soluzione del rischio idraulico  del Rio Riccò e dello Scodogna, piuttosto che il sovralluvionamento della  zona industriale con oltre 1000 occupati, piuttosto che il raddoppio della Pontremolese e,  con i “piuttosto” potrei  riempire una pagina intera del giornale.

Se è vero che è una necessità, e lo ripeto, allora tutte queste problematiche dovrebbero essere scritte, nero su bianco, in un bell’accordo di programma sottoscritto dal comune e dalla Regione per riconoscere l’importanza di un territorio, il nostro,  ed il”sacrificio” dello stesso nella disponibilità ad accogliere un impianto di così elevato impatto ambientale.

E aggiungo che, oltre alle Royalties chiederei anche un nuovo Plesso Scolastico (questo alla proprietà),   nuovo perché è partendo dal bello e funzionale che si possono “costruire” le future generazioni.

Ricordo poi che l’autorizzazione all’ampliamento non è un atto che dovrà passare dal Consiglio Comunale.

L’Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.) è una procedura di competenza Regionale che potrebbe andare avanti indipendentemente dalla volontà politica manifestata, soprattutto se frazionata tra correnti di pensiero divergenti,  e che , come dichiarato dall’assessore Regionale, sta andando avanti, indipendentemente dalla volontà del Comune.

Non si tratta più di cambiare una destinazione per trasformarla da agricola a produttiva, passaggio da fare in Consiglio Comunale già avvenuto ai tempi della prima autorizzazione, ma di una legittima richiesta di ampliamento  di un attività che, piaccia o non piaccia, resta un attività produttiva.

Il timore è che, continuando con questa polemica, il Comune si veda scavalcato da una decisione che non gli compete, senza ottenere nessun ristoro.

Sicuramente dopo queste affermazioni sarò tacciata di incoerenza, di non pensare all’ambiente di pensare solo al “vil denaro”, come scritto su alcuni social e in alcune corrispondenze di recente pubblicazione, ma  non mi preoccupa perché mi sento libera di esprimere quello che penso, magari anche sbagliando, nel solo interesse di una comunità di cui ho avuto l’onore e il piacere di essere Sindaco per 10 anni.

Emanuela Grenti

Sindaco del Comune di Fornovo dal 2009 al 2019

 

 

 

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