COMMEMORAZIONE DELL’ECCIDIO DEL DORDIA A VARANO DE’ MELEGARI

Domenica 12 gennaio, a Varano de’ Melegari, come ogni anno, si commemorerà l’eccidio del Dordia. L’evento, organizzato dall’ANPI e dall’Amministrazione Comunale, avrà inizio alle 8:45 nello spiazzo antistante il Municipio, donde il corteo si dirigerà prima al monumento ai caduti e poi al cimitero per deporre delle corone. Alle 9:30, proseguirà nella palestra nuova, dove il sindaco saluterà i presenti per poi lasciare la parola agli ospiti, tra cui il prof. Minardi dell’Istituto Storico per la Resistenza di Parma. Come sempre, saranno presenti le “anime storiche” dell’organizzazione, il prof. Daniele Pompignoli e Mario Gherardi, insieme a rappresentanti dell’ANPI, familiari delle vittime, musicisti e cantanti che parteciperanno con un commento sonoro e gli alunni delle classi terze della scuola secondaria di I grado, seguiti e preparati dalle docenti Simona Anelli ed Elena Cignoni. Agli interventi degli ospiti, come di consueto seguirà la narrazione di quel tragico 10 gennaio del 1945. Infine, alle 11:15 circa, verrà celebrata la messa nella chiesa parrocchiale del paese.

A beneficio di chi non lo conoscesse, ricordiamo sinteticamente l’evento commemorato. 1945, ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale. Qui, tra Toscana ed Emilia-Romagna, passava la cosiddetta Linea Gotica, dietro la quale arretravano gradualmente i nazisti, incalzati dall’avanzata alleata. Era, naturalmente, una zona in cui i combattimenti erano più aspri, ma anche quelli dove la lotta partigiana era particolarmente attiva. Detto per inciso, non tutti i partigiani erano schierati politicamente a sinistra: nelle brigate combattevano forze con ideologie molto diverse tra loro. Tra il 1944 e il 1945, le valli del Taro, del Ceno e le piccole valli adiacenti furono interessate dai rastrellamenti dell’operazione nazista Totila, con la collaborazione dei fascisti della RSI. Questi ultimi costituivano un aiuto prezioso, in quanto avevano una buona conoscenza del territorio e fornivano quindi informazioni utili su come muoversi, sui nascondigli dei partigiani, sui loro spostamenti e sulla loro identità.

Quell’inverno nevicò moltissimo, gennaio iniziò in un bagno di sangue in varie località dell’Appennino parmense, tra cui l’eccidio del Dordia. L’8 gennaio, per tentare di sfuggire ai nazifascisti, un gruppo di quaranta partigiani, incalzati dal freddo, si rifugiò a Case Cornali, ben sapendo quali fossero le zone rischiose e quelle più sicure. In realtà, i loro spostamenti non passarono inosservati; nel pomeriggio del 9 gennaio, poi, passò di lì uno sconosciuto ben vestito che parlò con una famiglia, fece domande. I partigiani lo conoscevano come un amico dei Tedeschi e dei fascisti. Allarmati, perciò, alcuni di loro decisero di scappare la notte seguente; rimasero in 23, perché non sapevano dove andare. I proprietari della cascina avevano chiesto loro di lasciare le armi, perché nel caso fossero state scoperte, i nazisti avrebbero bruciato le loro case. Si giunse a un compromesso: le armi furono nascoste in un pozzo, ma, come constatò il comandante partigiano “Bistecca”, che durante la notte fece un controllo, misteriosamente scomparvero. Alla notizia, tra i fuggiaschi si diffuse il panico e presagendo l’imminente grave pericolo, cercarono nascondigli ancora più reconditi.

Il mattino seguente, come temuto, arrivò un drappello di militari avvolti in lenzuola, per mimetizzarsi nella neve. Questo lascia supporre ad oggi che non si trattasse di Tedeschi, che, dotati di divise mimetiche invernali, non avrebbero avuto motivo di ricorrere a delle lenzuola, bensì di Italiani, fascisti della RSI. Dei 23 giovani nascosti, ne furono stanati 17, tra cui “Bistecca”, che si consegnò chiedendo di lasciare liberi gli altri. Non fu ascoltato e il drappello costrinse i 17 prigionieri ad allontanarsi, lungo il rio Dordia, annunciando loro che sarebbero stati deportati nei campi di lavoro in Germania. In realtà, poco dopo, armarono la mitragliatrice e li fucilarono. Seguiva il gruppo un ragazzo, che fu ucciso nel pomeriggio.

I cadaveri furono lasciati sul posto per tre giorni come monito alla popolazione, finché il parroco e molti abitanti di Varano sfidarono il divieto e seppellirono i 17 giovani, anche se i funerali ufficiali poterono essere celebrati solo nel maggio seguente, a guerra finita. Delle vittime, però, soltanto dieci erano partigiani, gli altri sette erano civili, studenti che si erano rifugiati lì pensando di essere al sicuro. I loro nomi di battaglia vennero dati ex post.

In tempi strani come questo, in cui rigurgiti di ideologie fascistoidi, negazionismi e superficialità si manifestano con allarmante frequenza, pensiamo sia fondamentale mantenere viva la memoria storica degli eventi di un passato che ineluttabilmente si allontana sempre più. I testimoni diretti di quegli anni ormai sono quasi scomparsi e le Istituzioni, scuola compresa, hanno il dovere morale di fare di quelle tragedie un manifesto vivo che funga da monito agli adulti di oggi e di domani. Sia detto senza retorica, nella Grande Storia dei libri, si rispecchia e si inserisce spesso la piccola storia dei nostri luoghi, delle nostre famiglie, fatta di piccoli grandi momenti e di situazioni in cui ciascuno di noi può ritrovare le proprie radici. È perciò fondamentale che alle nuove generazioni venga trasmesso tutto questo, insieme al senso di ciò che è accaduto e che ci auguriamo non debba ripetersi.

Grosseschwäne

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