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Fornovo l’artigliere Gino Quinti ci ha lasciato a 105 anni in saggezza e simpatia era il più anziano del paese

Fornovo Taro Gino Quinti di Citerna artigliere di 105 anni ci ha lasciato in saggezza e simpatia I Funerali di Oriano

Ieri mercoledì 7 febbraio 2018 in una giornata fredda e nuvolosa, nella Chiesa di Oriano è stato dato l’estremo saluto a Gino Quinti di Citerna. Una vita longeva, 105 anni, fatta di lavoro e famiglia, di semplicità e simpatia, di abitudini quotidiane senza eccessi, tranne quello verso la sua “nipotina d’oro”.

Il feretro è partito dalla sua abitazione a Citerna seguito dai familiari, diretto in Chiesa. Ad attendere, amici e conoscenti, il Sindaco Emanuela Grenti, l’Associazione artiglieri d’Italia di Colorno, Noceto e Fontanellato, e il gruppo alpini locale.

Il parroco Don Emmanuell ha glorificato il Signore per avergli donato una lunga vita, fatta di saggezza e lucidità. Una sentita cerimonia con la preghiera dell’artigliere da parte dei suoi amici dell’Associazione, l’Ave Maria cantata dal tenore Francesco Pavesi e l’estremo saluto con il silenzio nel piccolo cimitero.

Quinti nasce a Fornovo il 13 agosto del 1912, si sposa nel 1939 ha quattro figli di cui un maschio, Enzo che ha sempre vissuto con lui nel podere “Belvedere”, dimezzato con l’arrivo dall’autostrada.

Numerosi i ricordi tenuti come cimeli nella sua casetta sulle colline della Val Taro, dalla foto di militare a cavallo, al lunghissimo foglio matricolare, agli attestati con le medaglie della locale sezione combattenti e quella del gruppo Nazionale Artiglieri.

Quinti ha vissuto due guerre mondiali. Da artigliere nella seconda. Catturato nello sbarco di Sicilia, passa l’ultima parte della guerra in oriente come “prigioniero di riguardo” degli Inglesi. Militare a 20 anni diventa un puntatore e successivamente telemetrista. Si perfeziona nel gruppo artiglieria, calcolando velocità e distanza con il suo cannone da 305 mm con una gittata di 25 km. Un vero asso puntatore, sfruttando la mira appresa come cacciatore, passione svolta fino al 1993.

Le vicende di guerra.

Richiamato alle armi come sergente, dopo la Jugoslavia, continua la guerra con il Regio Esercito a Catania sul Simeto al comando di una batteria di una ventina di soldati con il compito di difendere le coste della Sicilia dalle navi degli alleati che stavano preparando lo sbarco.

Nella prima vera esercitazione tra Catania e Augusta, quando al primo colpo centra una sagoma di un battello in legno a venti km di distanza, riceve i complimenti personali da parte del Colonnello Comandante- Da semplice Sergente Quinti viene promosso sul campo a Sergente Maggiore. Il giorno dello sbarco degli Allenati però le navi inglesi rimangono a trenta km di distanza, troppo lontane per colpirle.

La “dolce” prigionia.

Il 14 luglio 1943, Quinti, durante l’operazione Husky, si arrende ai paracadutisti Inglesi, scesi al chiaro di luna e la resa è immediata.

La sua prigionia “crociera per il mondo” per circa due anni, parte da Siracusa, poi sbarca a Tripoli, Alessandria d’Egitto, al Cairo, quindi a Tel Aviv. Il compito dei prigionieri Italiani era fatto di cose semplici: accudire il comando Inglesi, con il fare spesa, guidare i camion, pulire il giardino, lavoro di ufficio, agricoltura, allevamento di cavalli.

Con la guerra che stava terminando in Europa e proseguiva contro il Giappone, sempre al seguito degli Inglesi come prigioniero di guerra, parte per Bombay, attraversando il mar Rosso, l’oceano Indiano. Raggiunta l’India, attraversa foreste tra scimmie e animali nuovi, raggiunge Bopal a due passi da Nuova Delhi. Dopo un paio di mesi, con lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima, ritorna a Taranto. Dopo la quarantena, lungo l’adriatico, Bologna, Parma, il tram per Fornovo, e un taxi con gli spiccioli guadagnati da prigioniero libero, finisce la sua storia avventura.

“abbraccerei loro e loro abbraccerebbero me” così Quinti ricordava i suoi “carcerieri gentiluomini”. “mi hanno tolto solo le lamette da barba e le forbici per darmi the e biscotti”. Un ricordo piacevole e di rispetto reciproco. Ricordava il cavallo di nome Malvisto, le gare, le sfilate e tutti gli sport praticati. Ricordava volentieri la mano data al Principe Umberto, in visita agli ufficiali e di aver conosciuto il figlio del grande Girardengo. Dopo aver girato il mondo come prigioniero “libero” per due anni e mezzo, a guerra finita tornò nella sua fattoria di famiglia a Citerna.

Le notizie sulla Resistenza in Italia arrivavano per corrispondenza e alla radio inglese tradotta dall’amico Egidio Cacchioli. Sulle vicende della guerra non si è mai sbilanciato, anche per non crearsi antipatie, diceva solamente che il “Benito” guardava con simpatia l’Inghilterra, ma poi diventò alleato della Germania per non essere invaso. Sulle domande di cosa avrebbe fatto 8 settembre, diceva solamente “Tanti si sono nascosti e hanno fatto bene”.

Era l’uomo più anziano del Comune di Fornovo.

Il sui segreti sono stati la freschezza fisica, la memoria di ferro, un Dna ereditato dalla madre vissuta oltre i cent’anni. Ma anche la quotidianità, fatta di cura dell’orto, di tre caffé al giorno, dalla lettura del giornale, alla passeggiata al mercato, senza perdere i momenti conviviali in allegria. A tavola gli piaceva di tutto, con un debole per cappelletti e tortelli.

 

 

 

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